La scorsa settimana ha messo a dura prova la mia maternità.
Avevo partorito da nemmeno venti giorni, e mio figlio grande è stato ricoverato a causa di una delle innumerevoli ed imprevedibili influenze che circolano all’asilo.
In quei giorni dolorosi mi sono divisa tra il mio bambino in ospedale e il mio neonato a casa. Mi sono sentita una madre insufficiente, non solo divisa a metà, ma spaccata a metà. Era solo un’influenza e sapevo che il mio bimbo sarebbe stato meglio presto, ma il dolore di quei giorni di pieno post parto, la preoccupazione costante, il terrore dislucido che tutto sarebbe degenerato, il dispiacere di sentirmi smaniare quando ero a casa con il neonato perché pensavo a mio figlio in ospedale senza di me, e di sentirmi allo stesso modo quando ero in ospedale perché pensavo al mio neonato a casa senza di me, mi hanno segnata. Mi è rimasta addosso la paura.
Passerà, certo.
Avrei voluto, e forse meritato, un post parto in totale serenità, ma questa è la mia vita e forse imparare a restare in piedi, surfando sulle onde di quello che deve essere ed esercitandosi ad evitare che il corso delle cose che vanno come devono andare s’inceppi, è tutto quello che posso imparare a fare. Conviene imparare a campare sotto il cielo del “nonostante le difficoltà, sono ancora io”, mia madre me lo ha sempre detto.
In quei giorni esistevano solo i miei figli e, sebbene io cerchi sempre di sospendere il giudizio morale, ho pensato con orrore ai genitori che, nella mia situazione, continuavano a chinarsi al cospetto del Dio engagement, a suon di story strategiche in bianco e nero con braccine e flebo, post con diagnosi e videosaluti del bimbo, e tutte le altre scene a cui nonostante tutto non ci siamo ancora davvero abituati, o almeno io. Per fortuna mi fanno ancora impressione certe scorrettezze nei confronti di bimbi in situazioni di difficoltà.
Oggi è la festa della mamma, e ho imparato, in questi indimenticabili anni da madre, che la maternità è tra le forme di collettività più forti che abbia mai visto.
Ho a disposizione innumerevoli caratteri da imprimere su queste pagine, e la cosa più lontana dal mio materno che potrei fare oggi è proprio usare questi caratteri scrivendo del mio materno.
Là fuori, e lo abbiamo imparato forse da poco, forse insieme o forse non lo sappiamo ancora fino in fondo, ci sono infinite maternità che devono essere viste, studiate, osservate, celebrate, ricordate, salvate.
Oggi questo tempo notturno, con il mio neonato che mi dorme sul petto e mio figlio Mattia, che mi fa impressione definire “figlio maggiore” perché è piccolo come un fiore, dorme tra me e Alessandro, lo voglio dedicare alle madri più importanti: quelle che non conosciamo.
Abbiamo usato tante parole per descrivere la maternità, in questi anni di rivendicazione.
Oggi voglio parlare delle maternità del silenzio.
Il silenzio delle culle vuote. Quello della madre che prova a vedere, con un cuscino sotto la pancia, come sarebbe stato se.
Quello della madre che è diventata mamma solo per perdere, subito dopo, il suo bambino. Che nessuno chiama mamma, perché il mondo misura tutto in anni, non in intensità.
Quello della madre che non c’è più, che muore con la paura di chi sa che non vedrà i suoi figli diventare grandi. Che lascia un bambino che prima si addormentava solo stringendo la mano della sua mamma. Che di notte cerca ancora quella mano.
Quello della madre che ha perso i suoi figli, che tiene il conto degli anni che avrebbe oggi, la sua bambina, ad esempio, se fosse ancora qui. A cui il mondo impone di andare avanti, come se la carne potesse dimenticare.
Quello della madre a cui sono stati tolti i figli. Pure lei tiene conto degli anni che oggi hanno i suoi figli. Sa che i suoi figli sono da qualche parte, ad avere magari nove e undici anni, senza di lei.
Quello della madre che ha partorito da sola. Che ha pianto senza gridare, perché non c’era nessuno a sentire.
Quello della madre che fa la valigia in silenzio, con due vestiti e un pupazzo, e scappa da chi le ha insegnato la paura.
Quello della madre che vive in un altro Paese, che manda foto e messaggi vocali e sente i suoi figli crescere lontani, a ore di fuso e abbracci sospesi. Che impara una lingua nuova, e prega che questo non le storca i lineamenti, così i figli la riconosceranno, quando tornerà.
Quello della madre che ha perso sé stessa nella depressione post parto, e nessuno se n'è accorto, perché il bambino stava bene.
Quello della madre che cresce i figli da sola, che dice "ce la facciamo", ma ha paura di non farcela più.
Quello della madre che ha un figlio in carcere.
Quello della madre che ha compiuto scelte sbagliate.
Quello della madre adolescente, che si ritrova grande in un corpo piccolo, e nessuno le dice più “hai tempo”.
Quello della madre traumatizzata, a cui nessuno chiede “come stai” perché il suo dolore mette a disagio.
Quello della madre che ha adottato, e ogni giorno lotta con un amore che cresce piano, tra ferite che non conosce e che deve imparare a gestire.
Quello della madre che aspetta un figlio in affido, sapendo che potrebbe doverlo lasciare andare.
Quello della madre che ha un figlio che non parla, e che ha imparato a decifrare ogni sguardo, ogni gesto, ogni respiro, come fosse una lingua segreta.
Quello della madre che ha un figlio che soffre.
Quello della madre che non si sente madre, anche se ha un figlio, perché l’amore non è arrivato subito, e la vergogna è arrivata prima.
Quello della madre che ha un figlio che la respinge, che le dice "non ti voglio", e lei resta, comunque.
Quello della madre che ha visto suo figlio cambiare lentamente, spegnersi un poco alla volta, senza sapere perché.
Quello della madre che spazza il pavimento di una casa che non sarà mai sua.
Quello della madre che rischia di perderlo, quel pavimento.
Quello della madre che ha dovuto scegliere tra nutrire i suoi figli e pagare l'affitto. E ha scelto i figli, come sempre.
Quello della madre che alla fine quel pavimento e quel tetto sulla testa li ha persi, e inventa ogni sera una favola diversa per far sembrare il materasso a terra un castello.
Quello della madre che teme che suo figlio si vergogni di lei.
Quello della madre che si è ammalata e ha tagliato i capelli davanti al suo bambino, facendo finta che fosse un gioco.
Quello della zia che ha cresciuto i nipoti come fossero suoi, senza mai farsi chiamare mamma. Che ha lasciato indietro i suoi sogni per curare quelli di qualcun altro.
Quello della sorella maggiore che ha fatto da madre troppo presto, che si è messa in mezzo alle urla, che ha cucinato, consolato, protetto.
Quello della nonna che torna madre quando i genitori non possono esserlo.
Quello della compagna di papà, che ama un figlio non suo, senza riconoscimenti, solo con gesti.
Quello della vicina che preparava la merenda, che accoglieva i bambini come fossero i suoi, perché il quartiere aveva bisogno di madri sparse ovunque.
Quello della madre che invecchia e dimentica il figlio che ha cresciuto, lo scambia per qualcun altro, e ogni volta è un addio nuovo.
Quello della madre che vive in una guerra, che stringe i figli tra le braccia come fossero l’unico scudo rimasto.
A tutte queste madri, auguro, oggi, una voce per sempre.
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Spero di tornare presto con nuove riflessioni condivise, intrecciando ancora una volta le nostre voci in un percorso di cura collettiva.
Auguri alle mamme che non sono più figlie perché la loro mamma è volata via e la chiamano solo nei sogni e il vuoto non lo riempiranno mai più
Anche noi abbiamo avuto un inizio in salita con il secondo figlio.
Il giovedì hanno operato mio marito al femore vicino all'inguine e il sabato mi accompagnava in ospedale senza mai chiedere una sedia per sé, ma concentrandosi solo sulle mie necessità.
La domenica il figlio "grande" di 2 anni aveva un febbrone altissimo mai sceso per tutta la settimana. Per poi scoprire che era un focolaio di broncopolmonite.
Ho più volte sognato come sarebbe stato il primo incontro fra i fratelli, mai avrei pensato che si sarebbero incontrati dopo quasi 3 settimane.
Ho sofferto come te la separazione da uno quando stavo con l'altro.
Ti sono vicina con il pensiero e con il cuore. Per quanto uno sappia che tutto si risolverà e andrà bene, è comunque complicato viverlo.
Per ogni inizio in salita, c'è un panorama in cima che è uno spettacolo! ❤️
Grazie per quanto hai scritto dopo cercando di includere tutte le mamme, le loro gioie e i loro dolori. Commovente ❤️